Se pure l’Assessment Center (AC) sia divenuto ormai prassi comune per la valutazione del potenziale o per la selezione di figure di particolare pregio, è opinione diffusa che i Test Cognitivi, siano essi attitudinali o di intelligenza generale, debbano figurare tra le prove di valutazione. Il peso attribuito a tali strumenti è ovviamente diverso da azienda ad azienda potendo essere considerati elementi di ausilio o invece prove essenziali ed imprescindibili. Ecco dunque che se in alcune aziende i test sono utilizzati quale informazione aggiuntiva per la composizione del quadro di insieme, sono in altre posti al centro del processo, quale soglia di sbarramento per il passaggio a successivi momenti di approfondimento, fino ad arrivare ad essere ritenuti lo strumento unico di selezione o di valutazione in sostituzione dell’Assessment. Tale diversità oltre che rilevante per la definizione dell’affidabilità scientifica delle diverse prassi di valutazione, assume importanza sul piano economico, essendo chiaro il diverso impatto della somministrazione di una batteria di Test, in genere circoscrivibile ad un paio d’ore, rispetto all’uso dell’Assessment di durata minima di una giornata. Qual è dunque il valore dei due strumenti? E’ possibile considerare i Test cognitivi alternativi all’Assessment? Che evidenze scientifiche si hanno a supporto della capacità predittiva dell’uno e dell’altro?
Obiettivo di questo contributo è per l’appunto fornire delle risposte ai quesiti posti, facendo una panoramica dei temi oggi più dibattuti e delle conclusioni cui la ricerca scientifica è giunta. Per porre tutti i lettori nella possibilità di comprendere le prassi ed i termini utilizzati dai ricercatori e per formarsi quindi un personale punto di vista, daremo per prima una definizione dei test cognitivi, seguita dalla descrizione dei metodi ad oggi utilizzati nella ricerca per stabilire la validità dei diversi strumenti.
Fanno parte dei test cognitivi tutte quelle prove volte ad accertare la presenza dell’intelligenza o delle attitudini. Per comprendere la differenza tra intelligenza ed attitudini è forse utile partire dal primo test sull’intelligenza sviluppato da Binet, uno psicologo chiamato dal Ministero dell’Istruzione francese agli inizi del ‘900 per separare i bambini con disabilità intellettiva da quelli normodotati al fine di creare delle classi di insegnamento differenziali. Le prove sviluppate dall’Autore prevedevano test di aritmetica alternati a prove di logica verbale combinate a test di vocabolario e di comprensione di testi (Anastasi 1985). Logica di fondo ispiratrice di tali prove, era la convinzione che dalla computazione aritmetica delle performance nei diversi test potesse uscire un numero o indice, capace di informare sulla presenza o meno di una soglia minima (di intelligenza) da considerarsi normale. Agli studi di Binet, fece seguito lo studio psicometrico dell’intelligenza di Spearman negli anni ‘20, che applicando l’analisi fattoriale (tecnica di analisi statistica delle correlazioni) all’insieme più vasto delle attitudini umane, comprensive cioè non solo delle attitudini scolastiche ma anche delle capacità pratiche legate alla percezione ed al movimento, ipotizzò l’esistenza di un’organizzazione gerarchica dell’intelligenza strutturata per livelli di importanza alla cui base individuò dei Fattori specifici o attitudini ed al cui vertice pose in rilievo il Fattore G o fattore di intelligenza generale. Tra i fattori specifici evidenziò il Fattore Numerico, Verbale, Spaziale e di Velocità Percettiva mentre individuò nel Fattore G e cioè nell’intelligenza generale il fattore comune di tutte le capacità umane. L’organizzazione dell’intelligenza di Spearman, poi riveduta e sviluppata da Thurstone negli anni ’40, è alla base dei test oggi in commercio almeno per i livelli più alti (laureati e manager), essendo per lo più incentrati sulla misurazione delle attitudini di ragionamento verbale e numerico (Fattore V ed N), spesso affiancati dalla misurazione della capacità di ragionamento con le figure, ritenuta dalla ricerca scientifica la più vicina al Fattore G. Tra i test specifici di intelligenza più utilizzati in ambito industriale vi sono il D70 e le Matrici Progressive di Raven, assai correlati con il più strutturato test di intelligenza di Wechsler e cioè con il Quoziente intellettivo, mentre sono noti tra gli attitudinali il DAT (Differential Aptitude Test), il BCR (Batterie de Test du Centre de Recherche), il BITAL (Batteria Italiana Test Attitudinali), il GATB (General Aptitude Test Battery, il GAT (General Ability Test), il CAT (Cognitive Ability Test) e lo SCAT (School and College Ability Test). Ciascuno dei test attitudinali citati presenta in genere una serie di prove specifiche tra cui il valutatore può scegliere in funzione del tipo di esigenza di valutazione. Soprattutto per le esigenze legate alla selezione dei laureati o alla valutazione di profili di rilievo in ambito aziendale, sono in genere opzionate le prove di ragionamento astratto (con le figure), assai vicine ai test di intelligenza, affiancate dai test di attitudine verbale e numerica che dalla ricerca scientifica emergono come maggiormente legate al successo lavorativo.
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